A seguito del catastrofico evento lavico del 1669, i Misterbianchesi affrontarono la ricostruzione della “nuova Misterbianco”
I contrasti dei cittadini nella gestione del problema
Gli abitanti di Misterbianco che rimasero senza casa e con pochi oggetti recuperati dalle loro abitazioni prima che la lava le ricoprisse completamente, si riunirono prima in contrada Raccomandata, dove decisero di ricostruire il paese e dopo si spostarono in contrada “Milicia”. Una parte dei cittadini, quasi la metà dei residenti invece segui padre Giuseppe Leocata dirigendosi a nord di Catania dove si stabilirono nel quartiere conosciuto oggi con il nome di Borgo o Piazza Cavour.
Chi voleva ricostruire ed è andato
L’individuazione del nuovo sito portò certamente a vivaci contrapposizioni nella popolazione superstite, la maggior parte di essi impauriti e preoccupati che un evento del genere potesse ripetersi negli anni successivi, decise di allontanarsi dalle pendici dell’Etna. Ma la ricostruzione dell’attuale cittadina di Misterbianco, dopo le alterne vicende sulla individuazione del sito, avvenne l’anno successivo (1670) della tremenda eruzione. La cittadina venne ricreata il più fedelmente possibile alla città distrutta e fu ricostruita seguendo l’architettura e l’ambientazione dell’antico Casale. Al centro, furono ricreati i Quattro Canti all’incrocio tra le attuali Via Matteotti e Via G.Bruno; contemporaneamente furono iniziati i lavori di costruzione della prima chiesa (l’attuale Chiesa S.Nicolò) intitolata a Maria SS. delle Grazie così come lo era la distrutta chiesa Madre, essa venne ricostruita ricalcando fedelmente la struttura della precedente. Così, lentamente e con il coinvolgimento di tutta la comunità il nuovo Misterbianco prese vita, le case, le piazze, le chiese e ogni struttura seppellita dalla lava venne ricostruita con pazienza e tanto lavoro. Rispetto all’antica ubicazione, la nuova città si trova più a sud, a soli 4 Km di distanza.
Storia dell’Aliva ‘mpittata
La sopraggiunta lentezza del fronte lavico, che da marzo solo a luglio raggiunse il porto di Catania, permise ai misterbianchesi di salvare tutto ciò che fosse stato facilmente trasportabile, in quei giorni è facile immaginare la popolazione vivere momenti spaventosi, in cui la paura e lo sconforto portano a una confusione tale da non sapere cosa sia meglio fare. Immaginiamo che il panico abbia preso il sopravvento e che la gente si disperse tra le campagne, senza una meta precisa. Si cercò di prendere la situazione in mano, per ricostruire la comunità e cercare di gestire, per quanto possibile, il dramma che stavano vivendo. Una delle decisioni prese fu quella di radunare tutti i cittadini dispersi tra le vaie contrade e per attirare la loro attenzione si appese ad un grosso ulivo, sopravvissuto alla lottizzazione selvaggia odierna, che i cittadini chiamano “Aliva ‘mpittata” (olivo pettoruto), riferendosi alla sua forza e grandezza, dal momento che aveva sopportato il peso della enorme campana da 18 “cantara” (quintali) e cominciare a far sentire i rintocchi che si propagarono per tutte le contrade. L’ulivo oggi si trova poco distante dal sito della vecchia città sepolta e gli abitanti di Misterbianco, per mantenere viva la memoria di quei giorni, nel 1965 collocarono una lapide che riporta questa inscrizione: “Incalzato dalla colata lavica del marzo 1669 il popolo di Misterbianco a questo albero caro alla tradizione appese la storica campana della chiesa matrice travolta”.