La colata lavica che nel 1669 sorprese i Misterbianchesi
Cos’è accaduto
L’eruzione lavica del 1669 è stato un evento talmente straordinario da catapultare l’attenzione di tutta Europa sull’Etna e sulle sorti delle cittadine che sorgevano alle sue pendici. Fu un evento talmente distruttivo che gli abitanti definirono il 1669 l’anno della rovina. Alle 3:00 della notte dell’8 Marzo i terremoti iniziati già nelle due settimane precedenti incrementarono la loro frequenza e forza, continuando a scuotere violentemente la terra per i tre giorni successivi. Era l’11 marzo quando lo sbocco della lava si presentò violento e inarrestabile formando una nuova bocca di fuoco. Si trattava degli attuali Monti Rossi presso Nicolosi, chiamati negli anni successivi all’eruzione, “Monti di la Ruina”.
Già durante i primi giorni l’eruzione dimostrò la sua potenza e inarrestabilità sovrastando tutto ciò che incontrava, i paesi di Malpasso (ricostruito col nome beneaugurale di Belpasso); le contrade mai ricostruite di Levuli e Guardia; Mompilieri (di cui rimane solo la testimonianza della chiesa centrale semicoperta dalla lava), fino a travolgere una vasta area delle campagne di Mascalucia. Nei giorni successivi la fuoriuscita di magma incrementò la sua portata raggiungendo i 630 metri cubi di magma al secondo. Uno dei rami della colata si diresse e impattò il paese di S. Giovanni Galermo nel fianco Est e si fermò dopo averne distrutto una parte, il ramo lavico di Ovest si fermò in corrispondenza di contrada Valcorrente; mentre il ramo centrale, quello che puntava verso la città di Catania, continuò la sua discesa verso sud e dal 25 marzo iniziò a travolgere Misterbianco: la lava dapprima circondò il paese di meno di quattromila abitanti e poi lo seppellì quasi interamente, risparmiando il campanile della Chiesa Madre che continuò a svettare integro per altri ventiquattro anni fino a quando la notte del 1693 il devastante terremoto che rase al suolo Catania e buona parte della Val di Noto lo distrusse parzialmente.
Il velo di Sant’Agata
La fede dei misterbianchesi nella patrona di Catania Sant’Agata li portò anche durante questo evento a portare in processione il velo della Santa a Misterbianco nel tentativo di fermare la colata prima che raggiungesse la cittadina. Quella di esporre in processione il velo di Sant’Agata durante gli eventi lavici dell’Etna è una tradizione devozionale che dura sin dal 252 d.C. anno in cui venne invocata dal suo popolo in emergenza durante l’eruzione etnea che minacciò di toccare le porte della città. Il Velo rosso che la copriva nella sepoltura, simbolo della consacrazione delle vergini alla divinità durante l’epoca romana, venne portato al cospetto della colata nell’anniversario della morte della giovane Agata, il 5 febbraio. Secondo la tradizione, la lava cambiò direzione, evitando di investire la popolazione e l’abitato. Da allora, molte volte nella storia delle più minacciose eruzioni etnee, il Velo (talvolta insieme alle reliquie) è stato portato dal vescovo in carica davanti il fiume di fuoco per richiedere la salvezza e la reiterazione del miracolo. Così fecero i catanesi diverse volte nel mese di marzo del 1669 impauriti dalla velocità e dall’imponenza del flusso lavico portarono in processione il velo di Sant’Agata che una notte fu ospitato all’interno dell’allora chiesa Madre poi distrutta e che dal 2016 è ritornata a vivere in seguito agli scavi a Misterbianco.
Le deviazioni
Durante la sua corsa lungo il fianco meridionale dell’Etna, la colata adattandosi alla morfologia del territorio, si suddivise in diversi rami, come dei tentacoli che agguantavano la montagna, deviata solo dagli ostacoli naturali che di volta in volta incontrava. Una delle prime deviazioni fu l’impatto con il monte Mompilieri a poche ore dall’eruzione principale.